La gestione delle uova da parte degli OSA, un’affascinante “diatriba”…

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Ogni volta che nelle mia attività di formazione professionale si arriva a parlare della gestione delle uova nell’ambito del Sistema HACCP, la domanda da parte dei giovani colleghi o del personale alimentarista è sempre la stessa: “perché se le uova nei supermercati e nella GDO le troviamo in vendita sugli scaffali a temperatura ambiente, una volta giunte in azienda, o a casa, devono essere poste in frigorifero a temperatura controllata (+4°C)?”.

RISPOSTA

Anche nell’ambito della filiera delle uova le norme igienico-sanitarie delle quali tener conto sono da rifarsi al Reg. (CE) n. 852/2004 e alla Sezione X del Reg. (CE) n. 853/2004 Capitolo I, il quale recita:

 

UOVA

  1. Nei locali del produttore e fino al momento in cui vengono vendute al consumatore, le uova vanno conservate pulite, all’asciutto e al riparo da odori estranei, protette in modo efficace dagli urti e sottratte all’esposizione diretta ai raggi solari.
  2. Le uova vanno immagazzinate e trasportate alla temperatura più adatta, preferibilmente costante, per garantire una conservazione ottimale delle loro caratteristiche igieniche.
  3. Le uova devono essere consegnate al consumatore entro un termine di ventun giorni dalla data di deposizione.

Cosa si intende, però, per “temperatura più adatta e preferibilmente costante”, come indicato al punto 2? Secondo il legislatore europeo ci si potrebbe riferire alla temperatura ambiente come esplicitato nel considerando (7) del Reg. (CE) n. 589 del 2008 il quale afferma:

(7) Le uova refrigerate lasciate a temperatura ambiente possono generare una condensa che facilita la proliferazione di batteri sul guscio e probabilmente il loro ingresso nell’uovo. È pertanto opportuno che le uova siano immagazzinate e trasportate di preferenza a una temperatura costante e che di norma non siano refrigerate prima della vendita al consumatore finale.

Ed è proprio in virtù di ciò, che le Aziende preferiscono far sostare le uova dal momento della deposizione al momento della vendita ad una temperatura ambiente per poi dare indicazioni chiare in etichetta sul dover conservare, da parte del consumatore, il prodotto in frigorifero ad una temperatura di +4°C sino al momento del consumo.

In merito a quanto sopra specificato si possono fare alcune utili considerazioni con le quali tenere presente:

  • Che la buona norma di porre le uova in frigorifero sino al momento del consumo e/o utilizzo, nasce dal rischio che all’interno delle stesse possano proliferare microrganismi alimentari tra i quali la SalmonellaEnteritidis, causa di tossinfezioni alimentari, che se anche numericamente ridotte negli anni, grazie al miglioramento delle pratiche igienico-sanitarie del settore, non sono comunque ad oggi pari a zero;
  • Che secondo il Codex Alimentarius, Code of hygienic practice for eggs and egg products, in realtà, “le condizioni di temperatura, in rapporto al tempo impiegato per il trasporto e la consegna di uova da parte del produttore dovrebbe essere stabilito tenendo conto delle condizioni igieniche delle uova, dai pericoli che potrebbero ragionevolmente verificarsi, dall’utilizzo finale delle uova, e dalla durata prevista di stoccaggio”.

Sarà per questo, probabilmente, che la legislazione Statunitense, al contrario della nostra normativa vigente, dopo la deposizione, prevede che le uova vengano raccolte il prima possibile per poi essere refrigerate e che la temperatura di refrigerazione sia mantenuta durante il trasporto, lo stoccaggio (nei luoghi di vendita) e nella fase dello stoccaggio secondario nelle case dei consumatori.

O forse dipenderà dal fatto che, le uova negli Stati Uniti vengono lavate con acqua calda e detergenti, per ripulirle delle migliaia di batteri che si sono depositati sul guscio nel passaggio attraverso l’orifizio cloacale della gallina, inducendo ad un abbassamento delle difese naturali del prodotto. A differenza di quanto, invece, previsto dalla legislazione comunitaria che per evitare potenziali contaminazioni microbiche, come indicato nel considerandum (8) del Reg. (CE) 589/08, afferma che: “è opportuno che le uova non siano lavate o pulite perché simili pratiche possono danneggiare il guscio, che possiede una serie di proprietà antimicrobiche e costituisce un’efficace barriera contro le contaminazioni batteriche … omissis … Un altro motivo per cui le uova della categoria A non devono essere lavate è costituito dai danni potenziali alle barriere fisiche, come la cuticola, che possono verificarsi durante o dopo il lavaggio. Questi danni possono favorire la contaminazione batterica e la perdita di umidità attraverso il guscio, aumentando in tal modo i rischi per i consumatori, soprattutto se le successive condizioni di asciugatura e magazzinaggio non risultano ottimali”;

  • Che la contaminazione microbiologica delle uova può non dipendere solo dal guscio contaminato a causa degli escrementi entrati a contatto con esso, ma che può verificarsi anche nel caso di infiammazione delle ovaie dell’animale generatore che in questo caso produrrà uova già contaminate nel suo interno (soprattutto nel tuorlo). Inoltre, in presenza di contaminazione di questo tipo (cioè interne) si presuppone che il trascorrere di un “lungo” periodo di tempo dell’uovo a temperatura ambiente, possa indurre ad un rischio potenzialmente maggiore di proliferazione microbiologica, soprattutto nel caso di microrganismi quali le Salmonelle, che proliferano anche ad una temperatura ambiente;
  • Che in termini di shelf-life quando si ha a che fare con le uova non si ha una data di scadenza, ma i parametri da considerano sono:

– il TMC (Termine Minimo di Conservazione) che come esplicitato nell’art.13 del Reg. CE 589/08 è “Il termine minimo di conservazione di cui all’articolo 3, paragrafo 1, punto 5, della direttiva 2000/13/CE, è fissato al massimo al ventottesimo giorno successivo alla data di deposizione. Qualora sia indicato un periodo di deposizione, il termine minimo di conservazione è determinato a decorrere dalla data di inizio di tale periodo”;

– e la “data di vendita raccomandata”: ossia la data ultima nella quale le uova possono essere ancora vendute, che ad oggi è di 21 gg.;

  • Che nel 2014, in uno studio dell’EFSA, vennero analizzate le conseguenze, in termini di contaminazione microbiologica, dell’eventuale prolungamento della “data di vendita raccomandata” per le uova consumate tal quali o come ingredienti di prodotti alimentari, a seguito di un quesito, posto al gruppo scientifico, secondo il quale ci si chiedeva se fosse possibile prolungare tale data da 21 a 28gg (con conseguente prolungamento anche del TMC). Lo studio, condotto secondo un modello quantitativo che mise in relazione le modalità di conservazione attuate e i diversi scenari possibili da ottenere, evidenziò come nell’eventualità della presenza di Salmonella Enteritidis all’interno delle uova, il microrganismo poteva moltiplicarsi molto rapidamente all’aumentare della temperatura e del tempo di conservazione (con rischio di infezione del 40-50%) e  che solo una cottura completa delle uova (considerata una forma di bonifica) o la loro conservazione in frigorifero, poteva ridurre il maggiore rischio di infezioni, nel caso di prolungamento della conservazione. Lo studio inoltre metteva sull’avviso come estendendo oltre le tre settimane, la data di vendita raccomandata e la data di durata minima, il rischio aumenta anche con l’applicazione della refrigerazione nel punto vendita;
  • Che studi recenti, portati avanti da un gruppo di ricercatori britannici, hanno analizzato con cadenza regolare 2 marchi di uova (campione certamente ridotto) dei quali uno stoccato a temperatura di refrigerazione e l’altro a temperatura ambiente. La ricerca della presenza di vari batteri quali lo stafilococco aureo, l’E.coli, la salmonella, il campylobacter e la listeria monocytogenes hanno dimostrando che le uova tenute a temperatura ambiente non mostravano crescita microbica, sia dopo la prima che la seconda settimana.
  • E che al contrario, uno studio americano pubblicato sulJournal of the Science of Food and Agriculture su più di 2000 uova (provenienti da allevamenti intensivi), conservate a temperature diverse per 4 settimane ha dimostrato che le uova maggiormente deteriorate (cioè con una maggiore contaminazione microbica) risultavano quelle conservate a temperature più alte.

 

IN CONCLUSIONE, COME COMPORTARSI …?

Anche se le relazioni annuali del RASFF degli ultimi due anni mostrano una diminuzione delle notifiche nei riguardi della contaminazione microbiologica da Salmonella in Italia, ciò non vuol dire che il risultato sia simile in altri Paesi europei ed extraeuropei quali la Cina. Lo scorso anno, infatti, nel periodo tra maggio e ottobre 2016, in sette Paesi UE/Eea quali Belgio, Danimarca, Lussemburgo, Paesi Bassi, Norvegia, Svezia e Regno Unito erano stati riscontrati 112 casi confermati e 148 casi probabili di Salmonella Enteritidis, senza considerare i casi associati alla Croazia che aveva denunciato anche un decesso. A seguito di diverse indagini (ambientali, alimentari e di tracciabilità a monte) gli organi preposti avevano stabilito un legame tra il focolaio batterico ed un centro di confezionamento delle uova in Polonia, che avevano portato le autorità sanitarie polacche, e degli Stati membri nei quali erano state distribuite le uova tra le quali l’Italia, a sospendere tempestivamente la loro diffusione sul mercato.

In questa occasione sia l’EFSA che l’ECDC (Centro Europeo per il Controllo delle Malattie), avevano raccomandato agli Stati della UE di intensificare le attività di monitoraggio, e si spera anche le pratiche igienico-sanitarie all’interno dei processi produttivi, aggiungeremmo noi … perché  parte del problema risiede proprio lì!

Richiamando alcuni semplici concetti alla base delle conoscenze igienico-sanitarie, si deve tener presente che il Sistema HACCP (Hazard Analysis and Critical Control Point) applicato nelle Aziende agro-alimentari, nasce con lo scopo di compiere un autocontrollo igienico sulle filiere trattate (che deve essere attuato ad opera dell’OSA “Operato Sicurezza Alimentare”), quale strumento utile e prezioso all’identificazione dei pericoli (di natura biologica, chimica e fisica), con il quale si stabiliscono, altresì, dei sistemi per mantenere gli stessi sotto controllo ed evitare così che si possa verificare il rischio (cioè la probabilità che l’evento pericoloso si verifichi).

Lo stesso Sistema HACCP, prevede l’applicazione dei pre-requisiti, l’applicazione delle GMP (buone pratiche di lavorazione), un’analisi del rischio applicata ad ogni fase (atta a valutare la probabilità che si verifichi il pericolo), soprattutto però il Sistema HACCP nasce basando la propria forza su un’azione preventiva, piuttosto che affidarsi ad analisi sul prodotto finito per definirne la salubrità, in quanto l’esperienza ha dimostrato che la sicurezza di un alimento può essere garantita solo se tutte le fasi del processo produttivo sono tenute sotto controllo.

Ed allora, proprio in base a quanto sopra esposto, ipotizzando che una contaminazione microbiologica (cioè il pericolo) sia avvenuta all’interno dell’uovo (albume e tuorlo)  e che questo rimanga per diversi giorni a temperatura ambiente e poi venga acquistato e rimanga ulteriori giorni a temperatura non controllata nelle aziende, o nei punti vendita, e conseguentemente in casa sino al momento del consumo. Continuando ad ipotizzare che tale prodotto non venga utilizzato come ingrediente posto successivamente in cottura (e pertanto non si abbia una bonifica), ma venga utilizzato per la preparazione di alimenti consumati crudi (tiramisù, maionese, crema, zabaioni, ecc.), chi potrebbe escludere il verificarsi di una intossicazione alimentare o di una tossinfezione alimentare da Salmonella Enteritidis? Chi potrebbe escludere l’esposizione e l’assunzione di un prodotto contaminato da parte di soggetti particolarmente suscettibili (es. bambini, anziani e defedati) o immunosoppressi, e il verificarsi di conseguenze anche gravi?

Ci piace pensare che le azioni preventive, tra le quali la conservazione a temperatura controllata, anche solo nell’ultima parte della filiera, abbiano contribuito negli ultimi dieci anni (partendo da un  numero di casi pari a 994 segnalati nel 2006) alla riduzione in Italia del numero totale degli isolamenti umani di salmonella e alla significativa diminuzione degli isolamenti di S. enteritidis (nonostante alcuni episodi epidemici legati alla ristorazione collettiva), portando così sulle tavole dei consumatori, nelle aziende, nelle attività alimentari artigianali, nei ristoranti, nelle pizzerie, nelle pasticcerie, ecc., prodotti certamente salubri.

Guardando il problema da questo punto di vista, non possiamo non affermare  che continuare ad applicare quanto la normativa vigente ci indica, possa essere non solo la migliore soluzione, ma soprattutto la migliore prevenzione.

Dopo tutto … “prevenire è sempre meglio che curare” , ed i vecchi detti non sbagliano mai!

© Produzione riservata

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Dr.ssa Sabina Rubini

Biologa ed Esperta in Sicurezza degli Alimenti

Consulente Aziendale

Co-founder ISQAlimenti.it