Menù corretti contro le frodi ai danni del consumatore

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Si torna a parlare di alimenti surgelati nei ristoranti e ancora una volta la giurisprudenza si esprime a favore della tutela dei consumatori. Il 22 agosto di quest’anno, infatti, con sentenza della Corte di Cassazione n. 38793 della terza sez. penale i giudici hanno riaffermato la frode in commercio (ex art. 515 c.p.) in caso di inadeguata indicazione di prodotti surgelati nel menù, rigettando così il ricorso presentato dal presidente del CdA di un noto ristorante di Milano.

Come si legge dalla sentenza  i giudici hanno posto l’attenzione sul fatto che  (…) se il menù di un ristorante reca la dicitura: “Gentile cliente, la informiamo che alcuni prodotti possono essere surgelati all’origine o congelati in loco rispettando le procedure di autocontrollo ai sensi del Reg. CE 852/2004. La invitiamo quindi a volersi rivolgere al responsabile di sala per avere tutte le informazioni relative al prodotto che desiderate” sia idoneo a rappresentare correttamente le pietanze al cliente o meno, determinando  dunque il tentativo della frode in commercio, quale nella specie ravvisato.

Secondo i Giudici della Cassazione no (riaffermando quanto già indicato dal legislatore di prime cure), in quanto i prodotti surgelati in origine o abbattuti in loco non solo erano in questo specifico caso una evenienza non rara, ma non erano neanche ben evidenziati (ad esempio con la presenza di asterisco o mediante apposita avvertenza posta in grassetto sul menù). Inoltre riguardo il personale operante in sala, al momento delle ordinazioni,  avrebbe potuto specificare di sua iniziativa agli avventori la tipologia di prodotto ordinato, fresco o surgelato, invece di attendere che fosse l’attento consumatore a porre domande al riguardo. Insomma per queste ed altre ragioni i giudici hanno ritenuto che pur quando la normativa comunitaria prevede l’equiparazione del prodotto fresco a quello congelato, tale equiparazione vale ai fini della disciplina igienico-sanitaria, ma non ai fini di una disciplina civilistica e che in questa circostanza fosse venuto meno la “buona fede del contratto” secondo la quale vige l’obbligo del ristoratore ad una informazione completa e adeguata nei confronti dei consumatori.

Nulla da fare quindi per il ricorrente e le molteplici prove presentate a suo favore, la Corte territoriale ha confermato integralmente quanto definito dal primo Giudice, ritenendo il ricorso inammissibile e addebitando allo stesso ricorrente anche le spese del procedimento.

Per maggiori approfondimenti sull’argomento si consiglia di leggere l’intera sentenza.

 

 

© Produzione riservata

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Dr.ssa Sabina Rubini

Biologa ed Esperta in Sicurezza degli Alimenti
Consulente Aziendale

Co-founder ISQAlimenti.it