Rischio Alluminio: Obblighi per i produttori, consigli per i Consumatori/Fruitori

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di Sabina Rubini

Il 30 gennaio dello scorso anno (2019) il Ministero della Salute (CNSA – Comitato nazionale per la sicurezza alimentare) ha rilasciato un parere sull’“Esposizione del consumatore all’alluminio derivante dal contatto alimentare: elementi di valutazione del rischio e indicazioni per un uso corretto dei materiali a contatto con gli alimenti”, basandosi sulla relazione finale dello studio svolto dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) riguardante la cessione di alluminio da parte di materiali a contatto con alimenti e/o la conseguente esposizione alimentare per le diverse fasce di età.

Scopo di questo studio sperimentale molto corposo, che ha visto l’impiego di circa 50 alimenti di largo consumo sia a carattere nazionale che internazionale (pomodori, prosciutto, riso, salame, salsa di pomodoro, spezie, carne bovina,  tè in polvere, timballo di pasta,  tiramisù, uova, verdure a foglia larga, ecc.) e diverse tipologie di oggetti quali barattoli, bobine di fogli di alluminio, caffettiere, padelle, pentolame, vaschette monouso, casseruole, ecc., in condizioni di contatto – cottura e/o conservazione – realisticamente effettuate dai consumatori, è stato quello di dimostrare la potenziale migrazione dell’alluminio da utensili o imballaggi (condizionata dalle modalità d’uso) e definire se tale elemento possa essere effettivamente una fonte di esposizione alimentare potenzialmente rischiosa per la salute umana.

ESPOSIZIONE ALL’ALLUMINIO: QUALI LE FONTI
Trattandosi di un elemento presente in natura, nel suolo e nelle acque di tutto il globo, l’alluminio è presente in moltissimi alimenti.

Già l’EFSA (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare) nel 2008 e la JEFCA (Joint FAO/WHO Expert Committee on Food Additives) nel 2011 avevano evidenziato come la principale fonte di esposizione all’alluminio, per la popolazione in generale, era costituita dalla dieta con l’assunzione di alimenti quali cereali e prodotti a base di cereali (pane, dolci, biscotti e pasticceria), verdure (funghi, spinaci, rafano e lattuga), bevande (tè e cacao) e alcuni alimenti per lattanti.

Oltre al contenuto di alluminio nelle diverse tipologie di alimenti (con ampie variazioni tra un alimento e l’altro) l’ingestione di questo elemento può avvenire anche attraverso il consumo di prodotti contenenti additivi alimentari: alluminio ammonio solfato (E 523), alluminio sodio fosfato acido e basico (E 541), sodio alluminio silicato (E 554), calcio alluminio silicato (E 556) e alluminio silicato (E 559), solo per citare i più utilizzati. Esposizione che comunque è stata drasticamente ridotto a partire dal 2014 con il Regolamento UE n. 380/2012.

Ulteriori esposizioni possono derivare dall’acqua potabile (che rappresenta una fonte di esposizione secondaria), dai medicinali e dai prodotti di consumo nei quali vi sia la presenza di alluminio come nel caso dei MOCA-materiali e oggetti a contatto con gli alimenti (padelle, pellicole di alluminio, ecc.). Quest’ultimo il caso approfondito in questo articolo.

POTENZIALI PERICOLI PER LA SALUTE UMANA
Proprio per la presenza diffusa in molti alimenti e in molti altri prodotti di consumo, l’alluminio è uno dei metalli con riconosciuta potenziale pericolosità per la salute umana, a causa soprattutto dell’interferenza che riesce a produrre nell’ambito di diversi processi biologici (stress ossidativo cellulare, metabolismo del calcio, etc.) capaci di indurre potenziali effetti tossici in diversi organi e sistemi tra i quali il tessuto nervoso, il bersaglio più vulnerabile.

C’è da dire che questo elemento nei soggetti sani ha fortunatamente una biodisponibilità orale molto bassa anche se, per contro, la dose assorbita ha una certa capacità di bioaccumulo. L’ingestione dopo la biodisponibilità che avviene sottoforma di ione alluminio (Al3+) dipende fortemente dal composto chimico in cui è incorporato e dalla sua solubilità nell’ambiente acido dello stomaco. Il passaggio a valori di pH neutri tipici del tratto intestinale (a partire dal duodeno) porta, invero, alla formazione di composti insolubili di alluminio idrossido che precipitano venendo così escreti con le feci. Dati sperimentali, su modelli animali e sull’uomo, indicano come l’assorbimento orale sia dello 0,3% circa quando l’alluminio è ingerito disciolto in acqua, mentre risulta inferiore (circa 0,1%) se l’ingestione avviene con alimenti e bevande diverse dall’acqua.

Va da sé quindi che il bioaccumulo dell’alluminio e la tossicità, con conseguenti effetti sul sistema nervoso centrale e sul tessuto osseo, è nettamente più rischiosa in presenza di soggetti con funzionalità renale immatura o diminuita (bambini piccoli, anziani, pazienti con insufficienza renale, in dialisi, sottoposti a nutrizione parenterale). Come del resto, essendo la barriera ematoencefalica e quella placentare permeabili a questo elemento il rischio sussiste anche per il feto nel caso di esposizione da parte delle future mamme durante la gravidanza.

Da non trascurare, infine, sono le rassicurazioni provenienti da autorevoli organismi internazionali (IARC, EFSA, JECFA, SCCS, WHO), a seconda dei diversi studi condotti, sugli improbabili effetti cancerogeni ai livelli e modalità di esposizione rilevanti per l’esposizione umana, sul fatto che i composti di alluminio non risultino mutageni quando testati in modelli cellulari sia batterici che di mammifero, né tantomeno che le dosi tipiche della esposizione attraverso la dieta possano costituire un rischio apprezzabile per l’insorgenza della patologia di Alzheimer, come ipotizzato da alcuni autori in studi condotti sul ruolo dell’alluminio nelle malattie neurodegenerative tra le quali appunto la demenza di Alzheimer.

ALLUMINIO: DA DOVE PROVIENE IL POTENZIALE RICHIO CHIMICO
L’alluminio può dare migrazione in quantità più elevate, a seconda della natura dell’alimento, in presenza di sostanze fortemente acide (salse di pomodoro, succhi di mela, succo di limone) e fortemente salate (acqua salata in ebollizione, prosciutto crudo, alici, capperi sotto sale, ecc.).
Importanti fattori risultano altresì lo stato fisico dell’alimento, indirettamente legato al contenuto di acqua mobilizzabile, la presenza di una eventuale matrice acquosa, oltre alle condizioni di contatto (tempo e temperatura) e alla relazione tra superficie di alluminio a contatto e quantità di alimento presente.

La migrazione può essere favorita quando l’alimento rimane a contatto con il contenitore per tempi prolungati e a temperature non refrigerate, soprattutto in presenza di alte temperature.

Alla luce di quanto detto si può affermare che la cessione di alluminio dai MOCA, e la conseguente esposizione alimentare all’alluminio attraverso questi, è certamente condizionata dalle modalità di uso dei vari oggetti ed utensili con i quali quotidianamente entriamo in contatto, che se scorrette potrebbero portare ad un potenziale rischio per la salute causato dal superamento della dose settimanale tollerabile (stabilita dall’EFSA nel 2008 nei confronti dell’alluminio) pari a 1 mg/kg p.c./settimana, soprattutto nei confronti delle fasce considerate più vulnerabili nella popolazione e rappresentate dai bambini sotto i 3 anni, dagli anziani al di sopra dei 65 anni, dalle donne in gravidanza e, persone con funzionalità renale compromessa. Una dose che corrisponde a 20 e 70 mg di allumino/settimana, rispettivamente per un bambino di 20 kg e per un adulto di 70 kg.

In particolar modo lo studio dell’ISS (al quale si rimanda per eventuali approfondimenti – Rapporto ISTISAN 19/23) ha evidenziato come il rischio nei confronti delle fasce vulnerabili quali bambini ed anziani, sia legato in particolar modo al consumo di un alimento, il brodo vegetale se preparato in casseruole di alluminio.

Le prove di cessione hanno evidenziato nei brodi vegetali valori di alluminio che vanno da 21,01 a 48,00 mg/Kg, (livelli di alluminio molto maggiori rispetto ad altre tipologie di alimenti trattati) utilizzando casseruole nuove, usate e di diverse leghe. Un dato, questo, da ricondursi principalmente a due fattori: il potere estrattivo dell’acqua di rete, che in condizioni di bollitura contribuisce cospicuamente alla cessione di alluminio, e alla presenza delle sostanze vegetali nelle quali si configura la  presenza non trascurabile di sali, anioni, e chelanti, capaci di incrementa la cessione dell’elemento in discussione.

Sempre dallo studio dell’ISS un ulteriore dato interessante nasce dal confronto dei risultati ottenuti dalle prove di cessione nei confronti di categorie quali vaschette di alluminio monouso e il pentolame, mettendo in luce come l’esposizione da articoli monouso contribuisca in modo modesto all’incremento di alluminio che si può assumere, quando ceduto negli alimenti, rispetto alla esposizione da pentolame e utensili (considerando il consumo di brodi una delle maggiori fonti di esposizione).

L’OBBLIGHI DEI PRODUTTORI
Per le Aziende che immettono sul mercato materiali e oggetti di alluminio e di leghe di alluminio destinati a venire a contatto con gli alimenti, garantire la sicurezza dei materiali dal punto di vista igienico-sanitario è di fondamentale importanza aiutate dalla normativa vigente: Regolamento CE n. 1935 del 2004 norma quadro comunitaria e D.M. del 2007 n. 76 la norma nazionale.

Nel D.M. italiano si possono individuare chiare e precise indicazioni in merito a quali debbano essere le caratteristiche della composizione dei materiali e degli oggetti in alluminio (art. 4), soprattutto rispetto ai requisiti di purezza dello stesso utilizzato nelle produzioni, oltre alle caratteristiche di composizione dei materiali e degli oggetti di leghe di alluminio ottenuti per fusione, per i quali vi sono alcune specifiche (il fatto che nella produzione di oggetti destinati al contatto breve, come caffettiere e piastre, il contenuto di rame può arrivare fino al 6%, mentre per alcuni metalli, come l’argento, il contenuto massimo debba essere pari allo 0,05 %).

Tra gli obblighi che i produttori devono rispettare c’è quello di rispettare per questa tipologia di materiale specifiche condizioni d’uso (art. 5):
a) contatto breve: tempi inferiori alle 24 ore in qualunque condizione di temperatura;
b) contatto prolungato: tempi superiori alle 24 ore a temperatura refrigerata;
c) contatto prolungato: tempi superiori alle 24 ore a temperatura ambiente limitatamente agli alimenti riportati nell’allegato IV del regolamento.

E soprattutto, per tutelare la salute dei consumatori, apporre in etichetta (art. 6) istruzioni d’uso tali da guidare l’acquirente su quali siano le migliori pratiche (cucinare e/o conservare) da adottare in presenza del materiale (oggetto monouso, pentolame e pellicole), utilizzando le seguenti diciture:
a) non idoneo al contatto con alimenti fortemente acidi o fortemente salati;
b) destinato al contatto con alimenti a temperature refrigerate;
c) destinato al contatto con alimenti a temperature non refrigerate per tempi non superiori alle 24 ore;
d) destinato al contatto con gli alimenti (caffè, spezie ed erbe infusionali, frutta secca, cereali e prodotti derivati, ecc.) a temperature ambiente anche per tempi superiori alle 24 ore.

Infine, apporre nelle avvertenze accurate indicazioni su come gestire il MOCA che si ha di fronte, giusta metodologia di lavaggio e altro.

L’ATTENZIONE DEI CONSUMATORI
Premesso quanto sopra, i soli obblighi dei produttori non possono bastare a far si che il rischio alluminio venga evitato se il consumatore /fruitore non fa la sua parte.
Come? Prima di tutto imparando a leggere correttamente le informazioni riportate nelle etichette dei MOCA, così come ad oggi si è imparato a fare per i prodotti alimentari.

Inoltre, imparando a gestire il corretto uso dei moca in alluminio nelle diverse situazioni che possono andare dalla produzione alla preparazione degli alimenti in ambito domestico e che possiamo così riassumere:
evitando di graffiare i contenitori di alluminio “anodizzati” (ossia quei materiali di alluminio nei quali uno strato protettivo di ossido di alluminio sigilla la superficie del pentolame impedendo il rilascio di molecole di alluminio), ledendone così la patina protettiva;
evitando il contatto diretto di alimenti acidi o salati con fogli di alluminio;
evitando la conservazione di alimenti in contenitori di alluminio dopo la cottura e per lunghi tempi;
non riutilizzando oggetti monouso in quanto una volta utilizzati perdono la patina di rivestimento (coatings a base di oli vegetali o minerali), rendendo l’oggetto utilizzato non più sicuro.

CONCLUSIONI
Al di là dei consumatori, il corretto utilizzo dei moca di alluminio deve avvenire anche e soprattutto nell’ambito della ristorazione collettiva, essendo l’OSA (operatore del settore alimentare) nella gestione della sua attività responsabilità della salute dei consumatori.
Alla luce di quanto oggi sappiamo non si può così non inserire nei manuali aziendali di corretta prassi igienica (HACCP) procedure atte a verificare l’uso corretto di MOCA, e non solo di alluminio.
Pur consapevoli che i materiali e gli oggetti a contatto con gli alimenti non siano l’unica fonte di esposizione alimentare all’alluminio, ci si auspica una corretta gestione degli stessi, da parte di chi svolge un’attività rivolta a terzi, ricordando che la salvaguardia della salute pubblica, scopo primario della sicurezza alimentare, si fonda sulle azioni preventive quali possono essere appunto una produzione secondo buone prassi e una corretta gestione igienico-sanitaria dei materiali potenzialmente rischiosi per la popolazione tutta.

© Produzione riservata

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Dr.ssa Sabina Rubini
Biologa ed Esperta in Sicurezza degli Alimenti
Consulente Aziendale
Co-founder ISQAlimenti.it