Con il termine Shelf-Life s’intende la “vita ideale” di un alimento o di una preparazione alimentare, cioè quel “periodo di tempo che inizia al termine della produzione di un alimento durante il quale deve essere garantito un adeguato livello di qualità sensoriale e di salubrità igienica in determinate condizioni di conservazione” (es. a temperatura ambiente, a +4°C).
Questo periodo di vita per alcuni prodotti è imposto dalla normativa vigente, mentre per altri va determinato attraverso tecniche analitiche previsionali sempre più coadiuvate da sistemi predittivi (software, carte di controllo, banche dati, ecc.).
Questo periodo di “vita del prodotto sullo scaffale” riconducibile agli alimenti si ottiene attraverso le tecniche produttive (aggiunta di additivi, confezionamento in atmosfera modificata, disidratazione, ecc.) scelte dalle aziende.
A seguito delle sempre più frequenti esportazioni e alla creazione di nuovi prodotti appare evidente che la shelf-life dei prodotti alimentari riveste sempre maggiore interesse per le aziende produttrici, per le imprese che commercializzano questi prodotti (es. la GDO) e per i consumatori.
In realtà, quella che è stata appena descritta è la Shelf-Life primaria cioè quel periodo di vita del prodotto prima che lo stesso venga aperto.
Cosa accade però nella fase successiva, al momento dell’apertura della confezione?
Se l’alimento viene totalmente consumato non si ha alcun problema, ma se viene utilizzata solo una parte dell’alimento, o materia prima/semilavorato, la quota restante avrà un suo periodo di vita residua che viene definita con il nome di Shelf-Life secondaria.
La Secondary Shelf-Life, come dicono gli americani, ha quindi inizio dopo l’apertura della confezione e può essere definita come quel “periodo di tempo che inizia dopo l’apertura della confezione di un alimento durante il quale si devono assicurare specifiche caratteristiche igienico-sanitarie, organolettiche e nutrizionali in determinate condizioni di conservazione”.
Ovviamente questo secondo periodo di vita non sarà mai lungo quanto il primo (shelf-life primaria) poiché dopo l’apertura della confezione si ha una perdita di stabilità e di sterilità originaria soprattutto per quanto concerne il controllo microbiologico originario.
Riuscire a determinare la shelf-life secondaria è molto complicato poiché risulta arduo definire l’entità delle probabili alterazioni fisico-chimiche, microbiologiche ed enzimatiche che si potrebbero verificare e l’influenza che queste possono avere sulla salubrità dell’alimento o semilavorato.
Al fine di non correre rischi occorre pertanto:
- usare quanto prima la quota di alimento/semilavorato non utilizzato dopo l’apertura, quindi evitare gli stoccaggi prolungati;
- durante l’apertura della confezione, nel riuso dell’alimento/semilavorato, bisogna evitare la contaminazione microbiologica;
- conservare l’aliquota di prodotto alimentare nelle condizioni più ottimali (rispetto della temperatura bassa per i prodotti deperibili, del giusto grado di umidità nel caso di alimenti in polvere, lontano dalla luce e da potenziali fonti di calore, evitando l’esposizione all’aria, ecc.);
- evitare di sovrastimare la vita residua (shelf-life secondaria) di un semilavorato in quanto si rischia di limitare drasticamente la vita commerciale del prodotto finito a cui darà origine;
- eliminare il prodotto alimentare ai primi segni di alterazione;
- ecc.
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Dr. Luciano O. Atzori
Biologo – Esperto in Sicurezza degli Alimenti e in Tutela della Salute
Divulgatore Scientifico – Consulente aziendale
Co-founder di ISQAlimenti.it