Ricordo che erano circa le 22,00 e che ero appena rientrato a casa dopo una giornata molto intensa (parecchie ore di riunioni, un sopralluogo presso un’azienda agroalimentare e qualche centinaio di chilometri in macchina). Insomma ero a pezzi!
Mi ero subito tolto le pesanti vesti da lavoro (soprabito, abito, cravatta, ecc.) per avvolgermi con dei morbidi e caldi indumenti da casa e avevo svuotato la borsa da lavoro e preparata per il giorno dopo. Avevo preparato e consumato una frugale cena e mi ero messo comodo sul divano a guardare un po’ di tv prima di andare a dormire.
Dopo qualche minuto di zapping ero approdato in un noto talk-show, dove si parlava di alimentazione. Come qualche volta accade in questo tipo di trasmissioni, gli ospiti erano alquanto male assortiti. C’erano una signora vegana, un noto cuoco, un esperto di nutrizione, una show-girl e qualche altro ospite che poco aveva a che fare con l’argomento di cui si discuteva.
Il tema della trasmissione era il confronto tra la dieta onnivora (dagli ospiti erroneamente definita “carnivora”, come se chi la segue mangiasse solo carne) e quella vegana. Ovviamente, visto l’argomento, mi sarei aspettato un confronto tra esperti del settore, che attraverso un educato confronto, avrebbero cercato di presentare le proprie tesi sempre avvalorate da seri e riconosciuti studi scientifici. Ma così non era…
Visto l’argomento la discussione si è subito accesa sicuramente alzando gli ascolti… I toni erano alti e il confronto si svolgeva al limite del rispetto delle principali regole del dialogo.
Ad un certo punto il cuoco (personaggio molto esuberante), difensore della dieta onnivora, con toni decisamente fuori luogo, cominciò ad aggredire verbalmente i difensori della dieta vegana e rivolgendosi ad uno di questi chiese “lei dove acquista il pane… che tipo di pane consuma?”. L’interlocutore rispose che mangiava pane comune acquistato in una normale rivendita di pane e che prima di comperarlo controllava che tra gli ingredienti non vi fosse nessuna componente di origine animale (latte, burro, strutto, ricotta, ecc.). Subito il cuoco incalzò affermando che in moltissimi prodotti da forno, quindi anche nel pane comune, veniva aggiunto nell’impasto il cosiddetto miglioratore il quale si otteneva dal pancreas dei suini.
Premetto che non sono vegano, anche se consumo molta ortofrutta, ma questa notizia mi lasciò sorpreso. Conosco benissimo i miglioratori della panificazione, ma non sapevo che potessero contenere pancreas del maiale.
Il giorni successivi riuscii a tornare a casa in orari decenti quindi ne approfittai per dedicare del tempo a documentarmi e ad approfondire questa faccenda. Mi relazionai anche con importanti panificatori e con rivenditori e produttori dei miglioratori della panificazione. Ognuno diceva la sua e spesso le informazioni che fornivano erano contrastanti. Insomma regnava una sorta di caos, dove tutto era il contrario di tutto!
Cosa sono i MIGLIORATORI e a cosa servono?
Quando si pensa al pane si è naturalmente portati a considerarlo come un prodotto alimentare emblema di semplicità, di antiche tradizioni e di sapienti saperi costituito da pochi ingredienti naturali: acqua, farina, lievito e sale. Eppure non sempre è così, infatti, sempre più spesso, specialmente il pane industriale, viene prodotto attraverso l’ausilio di un “prodigioso” mix di componenti in gergo definito “miglioratore”!
I miglioratori della panificazione sono dei formulati usati molto spesso nella produzione di prodotti da forno in quanto rendono l’impasto più facile da lavorare (danno forza agli impasti rendendoli maggiormente estensibili), rallentano il processo di raffermamento, velocizzano la lievitazione (facendo risparmiare tempo quindi determinando una maggiore produzione e perciò guadagno), conferiscono al prodotto finale la giusta alveolatura con la formazione di una mollica morbida e la formazione di una crosta croccante e saporita, migliorano la friabilità e la produzione di invitanti odori, garantiscono una maggiore resistenza ad alcune variabili (es. all’umidità, alla temperatura).
Ma come facevano anni fa a produrre dell’ottimo pane se nell’impasto non erano adoperati i miglioratori? Semplice, i panificatori di un tempo, e qualcuno ancor oggi, usavano farine di ottima qualità con un buon contenuto di glutine, non si improvvisava (chi faceva il pane aveva una lunga esperienza) e non si aveva fretta.
In altre parole l’uso attuale di farine di scarsa qualità merceologica (ma non igienico-sanitaria) e di lieviti industriali (e non lievito fresco) costringe ad adoperare i miglioratori che fondamentalmente migliorano le caratteristiche organolettiche del pane (odore, sapore, colore e consistenza).
L’uso dei miglioratori è legale e pare che non arrechi alcun problema alla salute dei consumatori se usati secondo i dosaggi prescritti (generalmente all’1%) anche se qualcuno ipotizza che, secondo la composizione, potrebbero dare problemi di intolleranza o allergia in soggetti particolarmente suscettibili ad alcune componenti.
Il problema dei miglioratori non è quindi legato alla loro salubrità quanto al fatto che i consumatori hanno il diritto di sapere cosa contiene il pane che mangiano in virtù di personali fattori etici, religiosi e/o per scelte alimentari (vegetariani e vegani).
Alcuni dei componenti di questi formulati non vengono indicati nell’etichetta del pane in quanto considerati dei “coadiuvanti tecnologi” quindi, secondo la legge vigente, non vi è tale obbligo in quanto non sono più presenti nel prodotto finito (pane) nella loro composizione originaria. Questo perché durante la produzione del pane (soprattutto durante la lievitazione e la cottura), questi componenti, subiscono delle sostanziali modificazioni venendo trasformati in altro.
Spesso i miglioratori sono già presenti nelle farine, ma in questo caso sono indicati in etichetta perché si trovano nella loro condizione originaria. Insomma alcuni dei componenti dei miglioratori non sono indicati nel pane, ma lo sono nelle farine ove eventualmente sono presenti!
Fondamentalmente i miglioratori della panificazione sono classificati in enzimatici, se contengono enzimi di origine vegetale (come le amilasi) oppure animale (proteasi) e in non enzimatici costituiti da mix di vari ingredienti (vitamina C, mono e di gliceridi degli acidi grassi, ecc.).
I principali componenti dei miglioratori sono la Lecitina di soia (alcune volte dall’indubbia provenienza e chissà forse anche OGM e non bio, questa sostanza migliora la lavorabilità dell’impasto), l’Acido Ascorbico (E300, conosciuto come vitamina C, facilita la conservabilità del pane agendo da antiossidante), Mono e Digliceridi degli Acidi Grassi (additivi che servono da stabilizzanti ed emulsionanti migliorando la morbidezza finale), estratti di Malto (di norma ottenuti dal frumento sono degli zuccheri che caramellizzano durante la cottura migliorando l’aspetto della crosta), amidi, Amilasi (favoriscono la fermentazione), Proteasi (enzimi estratti dal pancreas dei suini), ecc.
L’E300 e altri componenti dei miglioratori, se eventualmente utilizzati, non vengono indicati in etichetta in quanto non si trovano più nel prodotto finito.
La soia, in quanto allergene, va indicata in etichetta. Anche le amilasi e altre componenti.
Quindi i MIGLIORATORI contengono
enzimi pancreatici dei maiali?
Da quanto dichiarato da alcuni panificatori i miglioratori contengono estratti del pancreas dei suini (si sa che del maiale non si butta niente…), ma in realtà dall’osservazione delle etichette di questi prodotti e delle farine nelle quali sono aggiunti dei miglioratori non vi è indicata esplicitamente tale presenza. I produttori, contattati a suo tempo dallo scrivente, rimanevano molto generici come se avessero timore di dichiarare tale presenza.
Insomma le informazioni che ero riuscito a carpire ai diversi attori del settore della panificazione mi lasciarono a “bocca asciutta” in quanto poco attendibili e spesso contrastanti. A quel punto decisi di commissionare delle specifiche determinazioni analitiche per verificare la reale presenza di enzimi pancreatici nei miglioratori.
I laboratori che contattai mi dissero che era molto difficile appurare ciò con precisione e che quindi sarebbe stato arduo avere dei dati attendibili. A quel punto, a malincuore, abbandonai il progetto “miglioratori” e rimasi nei mesi successivi con il dubbio che periodicamente mi saliva a galla portandomi a fare infinite riflessioni.
Quando, con estremo piacere, nel dicembre 2017 appresi che uno studio condotto dai ricercatori del CNR di Avellino, pubblicato nella rivista “Food Research International”, aveva dimostrato, attraverso l’uso combinato di differenti tecnologie all’avanguardia, che in circa 20 formulazioni di miglioratori in commercio, adoperati nella panificazione, non vi sono enzimi pancreatici.
Ovviamente la suddetta ricerca non esclude che in qualche miglioratore usato nella panificazione vi siano tali enzimi di origine animale, ma adesso sappiamo con certezza che la maggior parte di questi formulati in commercio ne sono privi.
Per gli amanti del buon pane fatto alla “vecchia maniera”, nel frattempo che ci si auspica che il legislatore intervenga nel settore della produzione dei prodotti da forno (pane, fette biscottate, grissini, cracker, ecc.) colmando alcune lacune in merito all’informazione dei consumatori, si consiglia di acquistare il pane nei tanti panifici ancora artigianali, dispersi in tutto il territorio italiano, che producono dei meravigliosi pani rispettando le vecchie ricette (spesso producendo specifici pani locali con prodotti bio) e i tempi lunghi di fermentazione.
A questo punto qualcuno potrebbe chiedersi com’era finita quella puntata del noto talk-show. Beh, a dire il vero non lo so… perché dopo poco tempo cominciò ad annoiarmi e a infastidirmi sia per i toni arroganti di qualche ospite e sia perché non venivano sviscerate le vere problematiche dell’argomento trattato. Insomma spensi la tv e me ne andai con gioia a dormire… senza aver bisogno di nessun “miglioratore” del sonno…
© Produzione riservata
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Dr. Luciano O. Atzori
Biologo – Esperto in Sicurezza degli Alimenti e in Tutela della Salute
Divulgatore Scientifico – Consulente agroalimentare
Co-founder dello ISQAlimenti.it